SPOSARSI È PASSATO DI MODA

SPOSARSI È PASSATO DI MODA

Il matrimonio è una delle tradizioni più antiche e, in molte culture, è considerato uno dei passi più importanti dell’età adulta. Tuttavia, quello che un tempo era praticamente un requisito per considerare un essere umano funzionale e completo, oggi è solo un’opzione tra le tante. E che ha perso il suo peso culturale.

Sebbene il matrimonio rimanga una fonte di protezione per molte persone (soprattutto donne e migranti), sempre più persone scelgono di non sposarsi. Tra il 2002 e il 2018, la percentuale di single quarantenni è raddoppiata.

Inoltre, sempre più giovani tra i 20 e i 30 anni decidono di non fare il grande passo, o almeno di aspettare. L’idea di essere single o di essere soli è sempre più accettata e considerata naturale. Infatti, il 60% dei single dichiara di amare il fatto di essere single. La domanda è: cosa è cambiato?

 

PERCHÉ LE PERSONE NON VOGLIONO PIÙ SPOSARSI?

Ci sono molte, molte ragioni per cui l’istituzione del matrimonio non è più quella di una volta. Tra questi, la liberazione delle donne, la situazione economica, il cambiamento culturale dei millennial e i livelli di istruzione.

Grazie al maggiore inserimento delle donne nel mercato del lavoro, grazie al quale hanno una maggiore indipendenza economica, molte non prendono più in considerazione il matrimonio per avere una maggiore sicurezza. A questo si aggiunge il fatto che, in generale, i giovani preferiscono anteporre la carriera alle relazioni sentimentali.

PERCHÉ LE PERSONE NON VOGLIONO PIÙ SPOSARSI?

Tuttavia, anche la situazione economica sfavorevole dei millennial contribuisce al fatto che un numero minore di loro preferisce sposarsi. Sebbene questa generazione sia una delle più istruite e preparate, è anche la meno pagata e diversi studi sottolineano che è più povera dei suoi genitori.

In questa prospettiva, è logico che non considerino di avere lo stesso stile di vita delle generazioni precedenti. Poiché il sogno di una casa, di un figlio e di un cane sembra irraggiungibile per molti, è normale che prendano in considerazione altre esperienze xxx gratuit, come viaggiare o creare la propria attività o il proprio marchio personale.

 

SPOSARSI NON È PIÙ L’UNICA ALTERNATIVA

Oltre alle ragioni socio-economiche, anche la cultura del matrimonio è cambiata notevolmente. Sempre meno giovani aderiscono a religioni, quindi non sentono più il peso morale di doversi sposare per vivere in coppia. L’impegno, in questo caso, è preso tra le due parti e non nei confronti di un’istituzione religiosa.

SPOSARSI NON È PIÙ L'UNICA ALTERNATIVA

D’altra parte, non c’è più uno stigma sociale legato all’essere single, soprattutto tra le donne. Uno studio di Tinder ha rilevato che il 72% dei single di età compresa tra i 18 e i 25 anni ha deciso consapevolmente di essere single. Inoltre, questo non li ha fatti sentire male, ma anzi li ha fatti sentire più forti, felici e avventurosi.

Questo, unito al fatto che molti di loro sono cresciuti in case in cui i genitori si sono separati (la statistica più recente negli Stati Uniti dice che la metà dei matrimoni sono divorziati), fa notare un cambiamento nella narrativa intorno all’idea di matrimonio. Perché promettersi per sempre se non esiste?

 

 

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Quali leggi per la psichiatria?

“L’emanazione della ‘180’ – 13 maggio1978 – fu il coronamento di un lungo e travagliato processo di trasformazione istituzionale che certo non rappresentò solo un riassetto ‘interno’ alla psichiatria. Esso fu un aspetto non secondario della ‘modernizzazione difficile’ del nostro Paese: contribuì a rimettere in discussione ideologie e modelli antropologici socialmente diffusi, e infine ad avviare, almeno, un confronto con l’etica della tolleranza o dell’accettazione del ‘diverso'”. Così scriveva lo psichiatra Ferruccio Giacanelli, nel ventennale di quella legge, sull’inserto della Domenica de “Il sole-24 ore”, in un articolo intitolato: “Per legge il malato divenne persona”. Egli notava inoltre come tale legge, cui si giunse in seguito a profonde critiche al precedente sistema manicomiale, fatte non solo da specialisti, ma anche da giornalisti, politici, sindacalisti, alcuni amministratori illuminati, intellettuali, studenti, fu però partorita in modo affrettato, in seguito ad un referendum in merito indetto dai radicali, per “il timore che si aprisse un periodo di vuoto normativo” in proposito. Comunque, proseguiva Giacanelli, il fatto che tale legge fosse “per di più priva di disposizioni applicative e di qualsiasi previsione di finanziamento”, non la condannava all’insuccesso.
Nel 1978, quando in Italia vi erano 100 manicomi con 110.000 degenti, e quando non erano ancora conosciuti (e diffusi) i nuovi neurolettici, certo si fece una scelta ideologicamente giusta, ma di grande coraggio, che pose il nostro paese in una situazione di avanguardia rispetto al resto del mondo. Oggi, dopo che dalla metà degli anni ’90 la diffusione di nuovi farmaci specifici ha riportato a comportamenti normali grande parte dei malati affetti dalle patologie più gravi, come la schizofrenia, e dopo che in un paese come l’Inghilterra, che ha seguito l’Italia nella chiusura dei manicomi, si è constatato come l’efficienza organizzativa di équipes di operatori che agiscono sul territorio possa molto agevolmente permettere ai malati psichici di vivere presso le loro famiglie, o da soli, nel nostro paese anziché portare avanti, perfezionare, l’indirizzo che si era scelto, si propongono in parlamento leggi (1) che finiscono per negare tutto quello che si è fatto in questo settore: e soprattutto finiscono per negare il diritto al reinserimento, al recupero di queste persone, proprio oggi che la scienza, la medicina, renderebbe tutto questo molto più facile.
Sono mancati validi progetti per il reinserimento, per la riabilitazione, la sensibilizzazione della gente; sono mancate le idee, la creatività, l’entusiasmo e la fede individuale di tanti, operatori e famigliari. Spesso questi ultimi si sono visti addossare pesi insostenibili, da operatori che superavano le proprie difficoltà trincerandosi dietro ad aspetti burocratici.
Oggi si può sperare di essere ancora in grado di recuperare il tempo perduto, spolverando ideologie appannate, per evitare che nuove leggi, che sembrano non riconoscere ai malati psichici il diritto di essere persone, riportino indietro la nostra cultura e la nostra civiltà.
Pubblichiamo in proposito: un documento approvato all’unanimità dal Comitato esecutivo della Società Italiana di Psichiatria l’11 ottobre 2001; una lettera a Presidente della Repubblica dell U.N.A.SA.M (unione nazionale delle associazioni per la salute mentale) del 15 ottobre 2001; un intervento dello psichiatra Stefano Catellani fatto il 26 novembre 2001 ad una giornata seminariale sull’argomento organizzata dalla CGIL di Bologna; una lettera di un famigliare.