“L’emanazione della ‘180’ – 13 maggio1978 – fu il coronamento di un lungo e travagliato processo di trasformazione istituzionale che certo non rappresentò solo un riassetto ‘interno’ alla psichiatria. Esso fu un aspetto non secondario della ‘modernizzazione difficile’ del nostro Paese: contribuì a rimettere in discussione ideologie e modelli antropologici socialmente diffusi, e infine ad avviare, almeno, un confronto con l’etica della tolleranza o dell’accettazione del ‘diverso'”. Così scriveva lo psichiatra Ferruccio Giacanelli, nel ventennale di quella legge, sull’inserto della Domenica de “Il sole-24 ore”, in un articolo intitolato: “Per legge il malato divenne persona”. Egli notava inoltre come tale legge, cui si giunse in seguito a profonde critiche al precedente sistema manicomiale, fatte non solo da specialisti, ma anche da giornalisti, politici, sindacalisti, alcuni amministratori illuminati, intellettuali, studenti, fu però partorita in modo affrettato, in seguito ad un referendum in merito indetto dai radicali, per “il timore che si aprisse un periodo di vuoto normativo” in proposito. Comunque, proseguiva Giacanelli, il fatto che tale legge fosse “per di più priva di disposizioni applicative e di qualsiasi previsione di finanziamento”, non la condannava all’insuccesso.
Nel 1978, quando in Italia vi erano 100 manicomi con 110.000 degenti, e quando non erano ancora conosciuti (e diffusi) i nuovi neurolettici, certo si fece una scelta ideologicamente giusta, ma di grande coraggio, che pose il nostro paese in una situazione di avanguardia rispetto al resto del mondo. Oggi, dopo che dalla metà degli anni ’90 la diffusione di nuovi farmaci specifici ha riportato a comportamenti normali grande parte dei malati affetti dalle patologie più gravi, come la schizofrenia, e dopo che in un paese come l’Inghilterra, che ha seguito l’Italia nella chiusura dei manicomi, si è constatato come l’efficienza organizzativa di équipes di operatori che agiscono sul territorio possa molto agevolmente permettere ai malati psichici di vivere presso le loro famiglie, o da soli, nel nostro paese anziché portare avanti, perfezionare, l’indirizzo che si era scelto, si propongono in parlamento leggi (1) che finiscono per negare tutto quello che si è fatto in questo settore: e soprattutto finiscono per negare il diritto al reinserimento, al recupero di queste persone, proprio oggi che la scienza, la medicina, renderebbe tutto questo molto più facile.
Sono mancati validi progetti per il reinserimento, per la riabilitazione, la sensibilizzazione della gente; sono mancate le idee, la creatività, l’entusiasmo e la fede individuale di tanti, operatori e famigliari. Spesso questi ultimi si sono visti addossare pesi insostenibili, da operatori che superavano le proprie difficoltà trincerandosi dietro ad aspetti burocratici.
Oggi si può sperare di essere ancora in grado di recuperare il tempo perduto, spolverando ideologie appannate, per evitare che nuove leggi, che sembrano non riconoscere ai malati psichici il diritto di essere persone, riportino indietro la nostra cultura e la nostra civiltà.
Pubblichiamo in proposito: un documento approvato all’unanimità dal Comitato esecutivo della Società Italiana di Psichiatria l’11 ottobre 2001; una lettera a Presidente della Repubblica dell U.N.A.SA.M (unione nazionale delle associazioni per la salute mentale) del 15 ottobre 2001; un intervento dello psichiatra Stefano Catellani fatto il 26 novembre 2001 ad una giornata seminariale sull’argomento organizzata dalla CGIL di Bologna; una lettera di un famigliare.